"Accogliamo e facciamo giocare i migranti nelle nostre società sportive"
Gli esperti dicono che questa emergenza durerà per i prossimi 20 anni. Che cosa sta accadendo? Semplicemente che buona parte del mondo sta “cambiando casa”.
Si tratta di una svolta epocale. Abbandonati a se stessi per decenni – con il mondo occidentale impegnato a guardare da altra parte o a cavarsela con qualche iniziativa di solidarietà – migliaia di persone hanno iniziato a fare viaggi della disperazione. Cosa li muove? Non è difficile comprenderlo. Se si è costretti a vivere in condizioni di “non umanità” e senza un filo di speranza, se non si ha da sfamare ai propri figli e non si ha nulla da perdere, che cosa ti può impedire di rischiare il tutto per tutto? Nel merito il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco ha detto: «Questa è una sconfitta di tutto il mondo, o si è solidali tutti o si affonda tutti. Siamo davanti a una svolta epocale, il Sud del mondo si sta muovendo e l’obiettivo del mondo intero deve essere quello che la gente non debba essere costretta da guerre o povertà a lasciare le proprie terre». La partita la si vince solo così. Ma l’emergenza va affrontata. Ciascuno deve fare la sua parte: Ue, Stati membri, Governi e tutti quelli che hanno delle responsabilità istituzionali. Lo sport – anche sorprendentemente – questa volta ha deciso di scendere in campo con coraggio. In Europa il Bayern Monaco ha destinato un milione di euro per progetti e camp per i richiedenti asilo e ha ospitato alcuni profughi all’Allianz Arena. Il Borussia Dortmund, il Mainz e lo Stoccarda hanno presentato altri progetti per far giocare e allenare i bambini “refugees”. Anche Porto e Real Madrid pronte a donare soldi. In Italia 575mila euro donati dalla Roma a “Football Cares”, in aiuto dei profughi. A rimorchio, nel calcio italiano, il sì all’iniziativa anche da parte del Torino, Fiorentina, Inter, Bologna, Empoli. Adesioni della Lega Serie A e B.
La sensazione è quella di un positivo contagio con la possibilità che tanti altri decidano di non stare a guardare. Di sicuro questo riguarda anche il Csi. Cosa abbiamo fatto è cosa abbiamo intenzione di fare? Andiamo con ordine. Siamo quasi tutti d’accordo che ideale sarebbe aiutarli “a casa loro”. Migliorare la qualità della vita nei Paesi in via di sviluppo è l’unica strada per fare in modo che questa emergenza finisca. Noi nel piccolo lo stiamo facendo. A casa “loro” andiamo eccome.
Eravamo ad Haiti, in Camerun, in Centrafrica, in Albania questa estate con 100 giovani italiani portando la gioia dello sport.
Sembra poco, ed invece è tanto di quello che lo sport può fare e può regalare. E siccome siamo folli vogliamo andare in tanti altri Paesi. Da soli non ce la possiamo fare ma insieme all’intero mondo dello sport sicuramente sì.
L’invito del Papa a tutte le parrocchie europee («Rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi») interpella anche il Csi. Le nostre sono sempre state società sportive aperte. Negli spogliatoi dei campetti all’ombra del campanile (come in quelli di tante altre società sportive) si mescolano ragazzi che hanno etnie, pelle, religioni differenti. Oggi chiediamo chiaramente con fermezza alle nostre società sportive di far giocare tutti i migranti che hanno voglia di giocare. Di aprirgli le porte della società sportiva. Di accoglierli. Di andarli a cercare sul territorio.
Se è vero che questa emergenza scomparirà a breve dalle pagine dei giornali, ma sarà perdurante per lunghi anni, l’impegno di far giocare e di dare “cittadinanza sportiva” a queste persone è una responsabilità immensa e doverosa. Noi non ci tiriamo indietro.